Il giudice del lavoro del Tribunale di Brindisi ha accolto il ricorso presentato dai legali del fasanese
FASANO – Un dipendente della GialPlast, la ditta che attualmente gestisce il servizio di igiene urbana a Fasano, è stato reintegrato nel posto di lavoro dopo che la società, a seguito dell’interdittiva prefettizia del marzo dello scorso anno, lo aveva licenziato.
È quanto sentenziato l’altro ieri dal giudice del lavoro del Tribunale di Brindisi, Piero Primiceri, che ha accolto il ricorso presentato dai legali di un giovane fasanese, gli avvocati Mauro Blonda e Sara Zaccaria, e che ha condannato la Gial Plast dichiarando l’illegittimità del licenziamento avvenuto nell’aprile del 2019, reintegrando nel posto di lavoro il dipendente licenziato, riconoscendo a quest’ultimo una indennità commisurata alla retribuzione globale dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione, oltre a interessi e rivalutazione monetaria, con conseguente regolarizzazione della posizione assicurativa e previdenziale, oltre alle spese processuali.
A seguito della interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Lecce nei confronti della società, la stessa azienda aveva disposto un licenziamento disciplinare senza preavviso per giusta causa.
Nell’atto di sospensione cautelare dal servizio, cui era seguito il licenziamento, la società aveva comunicato al dipendente di aver “dovuto prendere atto che l’adozione di tale misura (l’informativa interdittiva emessa dalla Prefettura di Lecce – ndr)” era stata dettata da circostanze “direttamente riconducibili” al dipendente, contestando a quest’ultimo che risultava essere stato sottoposto ad un foglio di via obbligatorio da un comune del barese emesso dalla Questura di Bari per la durata di 3 anni.
Secondo quanto evidenziato dal giudice nella sentenza “non può ritenersi assolto l’onere probatorio incombente sul datore di lavoro della sussistenza di un giustificato motivo oggettivo, con conseguente impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa sulla base della sola interdittiva antimafia”.
“Ne consegue – prosegue il giudice nella sentenza – che la sussistenza di un’interdittiva antimafia nei confronti della società, che trova la sua ratio nel caso di specie dai numerosi dipendenti con precedenti penali, non può giustificare di per sé sola, in assenza di altri elementi che depongano nel senso della contiguità del lavoratore alla criminalità organizzata, il licenziamento automatico del singolo lavoratore riportante precedenti penali per reati magari perpetrati diversi anni addietro”.
Secondo il giudice, gli elementi a carico del dipendente licenziato, ovvero l’essere stato sottoposto a foglio di via obbligatorio dalla Questura di Bari per 3 anni, “ non sono sufficienti per ritenere che costui abbia potuto o avesse potuto fungere da elemento di collegamento con l’organizzazione mafiosa così da far infiltrare la stessa nel tessuto sociale e condizionarne le scelte”.
Il dipendente in questione, tra l’altro, non risultava avere altri precedenti penali se non il solo foglio di via, al quale il giudice non ha attribuito “rilievo ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro”.
Nella sentenza, inoltre, il giudice evidenzia come la Gial Plast “ha proposto ricorso giudiziario avverso l’interdittiva” della Prefettura, la quale già ad aprile 2019 (a distanza di un mese dalla interdittiva) aveva disposto, per il periodo di durata straordinaria e temporanea di gestione, la sospensione degli effetti dell’interdittiva antimafia, con riguardo ai contratti di appalto, tra cui quello in essere con il Comune di Fasano. Ed inoltre la Gial Plast, dopo aver presentato ricorso al Tar, aveva “chiesto e ottenuto la nomina di un controllore giudiziale, previa sospensione degli effetti della misura interdittiva (allo stato, non definitiva)”. E sempre a tal riguardo, nell’ottobre 2019, la stessa Prefettura di Lecce aveva ribadito con riferimento all’interdittiva antimafia che “… la fondatezza del provvedimento non vede nei precedenti dei lavoratori un elemento decisivo”.
Alla luce di ciò, dunque, secondo il giudice del lavoro del Tribunale di Brindisi “non può ritenersi fornita la prova dell’effettiva impossibilità di mantenere il ricorrente nel proprio posto di lavoro, non potendosi ravvisare”, proprio per le ragioni riportate nella sentenza, “alcun automatismo tra interdittiva antimafia e licenziamento del lavoratore, in assenza della prova di elementi concreti a supporto di una eventuale contiguità mafiosa dello stesso”.
Da ciò la condanna dell’azienda a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro.