
Un incontro sull’elaborazione del lutto organizzato dall’Apsi locale in occasione del mese del benessere psicologico
FASANO – Non è mai facile parlare della morte, e ancora più difficile acquisire gli strumenti per «trasformare una situazione di dolore in un’occasione di crescita». Si è svolto ieri (30 ottobre) presso la Sala di Rappresentanza del Comune, l’incontro dal titolo “E dopo la fine, ricominciare. Perdita e lutto: attraversare la separazione”, organizzato dall’Apsi di Fasano in occasione del “Mese del Benessere”, giunto alla sua decima edizione. Due testimonianze e quattro interventi, moderati dal Consigliere dell’Ordine degli Psicologi della Regione Puglia, Marisa Yldirim. Presente, a fare gli onori di casa, il vicesindaco Giovanni Cisternino, che ha definito l’argomento «intimo, ma che inevitabilmente investe un’intera comunità».
Ad aprire l’incontro la testimonianza di Katia Schiavone, presidente dell’Associazione “Flavio Arconzo – Vittime della strada”, che ha raccontato la sua personale esperienza della perdita del suo Flavio, sottolineando quanto sia inaccettabile per un genitore affrontare la perdita del proprio figlio. La Schiavone nel tempo ha dovuto intraprendere «un nuovo percorso di vita. Mi sono trovata a spiare la vita normale degli altri, provando rabbia, odio e persino invidia». Sentimenti che possono facilmente indurre alla pazzia, che invece lei ha combattuto con forza, riciclando la rabbia per dare un senso alla morte di suo figlio cercando di evitare quella di altri ragazzi. Di qui l’idea dell’Associazione di cui è presidente.
A seguire, ancora una testimonianza, quella di Mariangela Demola, psicologa e psicoterapeuta che invece ha parlato della sua esperienza familiare nei confronti del male del secolo, il cancro. Molti dei suoi parenti infatti sono morti a causa di questa malattia che «quando entra in famiglia sembra che non ti abbandoni più». È facile intuire il sopravvenire dell’inevitabile fobia del “fattore genetico”, ha spiegato la professionista fasanese, e di avere il timore di essere il prossimo ad ammalarsi. Nonostante tutto esiste sempre e comunque la possibilità di ricominciare.
Il primo degli interventi, dal titolo “Il tabù della morte e le fasi del lutto”, è stato quello del presidente a.p.s Apsi, Orazio Rubino, il quale ha parlato dell’oltraggio che la morte fa ai danni del mito dell’onnipotenza e dell’eterna giovinezza. Quindi Rubino ha tracciato le differenze tra la vecchia concezione di morte, che era “comunitaria”, e quella moderna che rappresenta piuttosto un “tabù” e che è oggetto di vergogna. Oggi la morte si affronta semplicemente «facendo finta che non esiste».
Il secondo intervento, dal titolo “Il Caregiver e la separazione: quando sentirsi supereroi non basta”, è stato tenuto dalla neo assessora ai servizi sociali, Angela Carrieri, intervenuta però in veste di rappresentante dell’a.p.s “Humanamente”. La Carrieri ha raccontato la sua personale esperienza di infermiera libera professionista nell’assistere pazienti terminali, mettendo a fuoco la figura del “caregiver”, cioè di colui o colei che si prende cura del malato, e delle problematiche del suo stato d’animo. Questi infatti di solito sviluppano sintomi di depressione, ansia, rabbia, confusione e solitudine che fanno da contraltare allo sviluppo di un senso di onnipotenza che spesso sfocia in uno stato di stress.
A chiudere gli interventi, quello dal titolo “L’elaborazione di lutti e separazioni come incominciamento”, tenuto da Roberto Decarolis, psicologo e terapeuta. Secondo quest’ultimo sono quattro gli ingredienti per alleviare il dolore di una perdita (che non è necessariamente quella luttuosa): imparare a permettere a chi soffre di esternare le proprie emozioni e i propri sensi di colpa; capire qual è il proprio credo (nel senso di cosa si pensa) relativo alla morte; imparare a “interiorizzare” le persone morte, facendole diventare parte integrante del proprio essere; infine, analizzare il perché si sta male. Nella maggior parte dei casi, ha sottolineato Decarolis, ciò che manca di più della persona defunta è il forte senso di sicurezza che questa donava, sentirne il bisogno, la presenza costante nella propria vita. Insomma il sentirsi riconosciuti, di esistere. Uno strumento fondamentale per elaborare e alleviare (impossibile infatti debellarlo) il dolore è quello di sviluppare “un sano egoismo”, diventare indipendente dall’altro accettando finalmente se stessi.
