
L’intervista alla giovane artista fasanese e la pubblicazione del suo primo libro di poesie
FASANO – Serena Semeraro, giovane artista fasanese, ha trasformato la sua passione per l’arte in un viaggio attraverso parole e immagini. Dopo aver approfondito lo studio della pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bari, Serena ha dato vita a un’opera che racchiude la sua essenza artistica: “Una voce”, il suo primo libro di poesie. In queste pagine, le emozioni si trasformano in versi pulsanti e le immagini prendono forma attraverso le parole, trascinando il lettore in un vortice di significati e sensazioni. Con la sensibilità che caratterizza i suoi quadri, Serena riesce a dare corpo all’astratto, trasformando le emozioni in una narrazione vibrante e poetica. Nell’intervista che segue, Serena racconta a Gofasano il suo percorso, le sue ispirazioni e il legame indissolubile tra pittura e poesia.
Hai studiato pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bari. Come ha influenzato la tua formazione artistica il tuo percorso di scrittura?
Ho sempre portato avanti parallelamente le due dimensioni, che si sono influenzate e modificate vicendevolmente, spesso intrecciandosi e mescolandosi negli anni, pur essendo distinte. La formazione accademica è stata fondamentale, non mi ha influenzata, piuttosto mi ha terremotata. Mi sentivo una ribelle, assetata di conoscenza e ostinata, decisa a voler comprendere cosa fosse l’arte, perché praticarla, e come, soprattutto. Credimi, di conseguenza anche la produzione ha visto diverse fasi negli anni: dalla pittura all’installazione, dalla realizzazione di video alla scrittura, in forma poetica e non. Volevo capire, e vivere quel magma incandescente della creazione. Tutto questo mi ha dato la possibilità di fare esperienza diretta sul campo da subito, dentro e fuori dalle mura accademiche.
Nel 2017 ho scritto i testi critici per il catalogo della Scuola di Pittura dell’Accademia di Belle Arti a cura dei docenti Giancarlo Chielli e Antonio Rollo. Nel 2018 si è instaurata una collaborazione molto intensa con il MAAAC di Cisternino, allora con la direzione artistica di Alberto Vannetti, e l’anno successivo ho avuto la possibilità esporre a Los Angeles per la mostra collettiva “Between two seas” a cura di Carmelo Cipriani e Luigia Martelloni. A partire dal 2021 si è instaurata una collaborazione importante con la Galleria Gasparelli di Fano, della quale vado molto fiera. Nel 2021 ho esposto presso la galleria Monitor di Roma per la mostra collettiva “Fragile” a cura di Christian Caliandro, esperienza decisiva. Ed altre mostre e contributi che non sto ad elencare. Dopo la laurea non mi sono fermata, avevo l’esigenza di fare un passo ulteriore, per approfondire i miei studi. Ho fatto richiesta di cultorato alla mia relatrice di tesi, la Prof.ssa Maria Angelastri, mia docente di storia dell’arte dagli inizi. Lei ha accettato, e l’ho affiancata per un bel periodo. È stata un’esperienza bellissima.
Tutto questo per dire che ci ho creduto veramente: a livello capillare l’arte era (ed è) al centro della mia vita. Non vedevo altra strada se non questa: cercare, conoscere, sperimentare, capire, sentire, prendere seriamente ciò che sorgeva da me spontaneamente. Volevo mettere a fuoco e collaudare tutte le possibilità espressive del linguaggio artistico, perché è trasformativo, e non è fatto solo di studio e tecnica ma anche di interazioni, scambi, confronto con l’altro, crescita personale, consapevolezza e conoscenza di sé.
In che modo la pittura e la scrittura si intrecciano nel tuo lavoro? Pensi che si completino o che siano due forme di espressione indipendenti?
Ho imparato a conoscerle. Mi è capitato ad esempio di accostare immagine e parola e coesistevano indipendentemente. L’arte nel mio caso non è un approdo felice, non è una via di fuga, non è una forma risolutiva di comprensione del mondo. Sicuramente è uno strumento conoscitivo, ma è anche qualcosa in più, ti interroga e sgorga impetuosamente da te, ma non solo da-te, con-te. Tutto questo si impara a gestire, ma non basta: è difficile arginare il mondo per poi riporlo in un cassetto, anzi è impossibile. Si tratta di una ricerca continua, caparbia, martellante. Forse è questa la magia dell’arte: il suo mistero è irriducibile.
Il tuo libro, “Una Voce”, è un progetto molto personale e intimo. Quando hai sentito il bisogno di trasformare le tue parole in un’opera scritta?
Quando le parole cominciavano a premere incessantemente contro il muro del silenzio. Mi sono resa conto che osservando da una certa distanza – anche temporale – tutto il materiale che avevo archiviato doveva vedere la luce ed essere condiviso.
É stato un atto di coraggio. Adesso quei testi vivono finalmente, hanno il loro spazio specifico, si sono sganciati da me e possono essere destinati allo sguardo dell’alterità, facendosi dono.
La parola, nel tuo libro, si fa scrittura come “indagine salvifica e autocoscienza”. Puoi raccontarci come questa idea si è concretizzata nella tua raccolta di poesie?
L’idea si è concretizzata perché ho avuto la fortuna di frequentare un importante festival che si svolgeva a Bari nel 2018, il “Festival delle Donne e dei Saperi di Genere”, diretto dalla Prof.ssa Francesca Romana Recchia Luciani, realizzando grafiche e illustrazioni per l’evento. Non avevo idea di cosa fosse l’autocoscienza, ed ero in un momento della mia vita in cui ero smarrita, confusa, avevo la necessità di capire più profondamente cosa fosse l’identità e quali condizionamenti mi impedivano di essere me stessa, ed essere libera. È lì che ho scoperto l’autocoscienza e il femminismo.
C’è stato un momento profondissimo che voglio ricordare. Lo stesso anno ho frequentato lo Short Master “Teoria e Didattica dei Diritti delle Differenze. Femminismi e Saperi di Genere” diretto dalla stessa docente. Uno dei momenti del Master consisteva in un incontro di gruppo con la saggista Lea Melandri. Abbiamo iniziato a condividere delle esperienze di vita con le altre, ed è stato lì che quell’indagine è diventato un flusso (di coscienza); ha cominciato ad essere salvifica, mi sono resa conto che ha portato fuori da me qualcosa di importante che ignoravo, nel dialogo “a partire da sé”. Ci diciamo molte cose in fondo…ma quante sono vere?
È stato incredibile.
Come nasce il titolo “Una Voce”? Cosa rappresenta per te questa voce?
Il titolo “Una voce” fa appello alla coscienza. Sarà un’operazione ambiziosa, ma non importa. La voce della coscienza è come una rete, attraverso la quale emergono perle e detriti. Ascoltarla per me ha valore perché significa voler indagare me stessa e cercare di comprendere cosa significa l’esistenza, il mio cammino, il rapporto con gli altri. È insomma il termometro dell’anima, e non fa sconti a nessuno, per questo è così importante: rivela. È un atto di libertà, anche. Mi piace pensare alle parole come delle sonde. Se si è impermeabili è impossibile fare questa operazione. Fortunatamente la vita non è una giostra, posso fermarmi quando sento di farlo, e tentare di decifrare cosa sta accadendo, e se davvero la volontà indica anche l’espressione di sé senza condizionamenti…insomma, io dico che ne vale la pena.
Nel libro, il ricordo è descritto come un momento di trapasso verso una nuova consapevolezza. Puoi spiegare meglio come la memoria agisce nei tuoi testi?
Ti ringrazio per questa domanda, è davvero molto importante. Alcune poesie sono la membrana di un lungo processo di elaborazione di alcune esperienze, alcune molto dolorose. Scrivere per me è importante anche per questo, attiva un processo, che porta alla consapevolezza. Non si tratta solo di evocare o immortalare un momento, una visione, un discorso interiore, ma di strapparlo all’effimero, al tempo, guardando attentamente per capire cos’è davvero.
Cosa significa per te “abitare lo spazio sacro della propria interiorità”?
Significa ascoltarsi, ma non voglio tradurre letteralmente l’espressione poetica: mi riferisco anche alla dimensione della propria solitudine, che non significa essere soli, ma significa per me imparare a capire cosa alberga in quello spazio, che è dedicato ai pensieri, alle emozioni, ai ricordi, ai desideri, ai sentimenti. Lo spiegherò attraverso un’esperienza.
Durante una residenza artistica intitolata “Goodnight” a cura del Prof. Raffaele Fiorella, nel 2020, avevo intenzione di riflettere ciò che per me era appunto la dimensione del sacro. Le residenze artistiche sono un’occasione di scambio e confronto tra docenti e studenti, perché si ha la possibilità di soggiornare in una struttura con la finalità di produrre un’opera, individuale o di gruppo.
In quell’occasione ho pensato di inserire simbolicamente una pietra dorata in un freezer che era ubicato in una chiesetta sconsacrata, utilizzata dalla struttura ospitante come deposito. Alcune persone viaggiano a nervi scoperti, con pochi scudi intorno…tra queste persone ci sono io. Mi sono resa conto che non tutti hanno il garbo di rispettare questa sensibilità, anzi. Per questo ho pensato di dare forma concreta alla sacralità di quello “spazio” traducendolo in un oggetto, metafora della sua preziosità.
Non a caso, accanto alla chiesetta, c’era un albero, dal cui tronco spuntava una foglia. Ho scritto sulla foglia “pericolo”.
Hai detto che l’operazione artistica legata ai tuoi testi è influenzata anche dalla pittura. In che modo le immagini e le sensazioni evocate dai tuoi versi si collegano al tuo lavoro pittorico?
Nelle “Lettere a un giovane poeta” Rilke scrive: “Ricercate la ragione che vi chiama a scrivere; esaminate s’essa estenda le sue radici nel più profondo luogo del vostro cuore, confessatevi se sareste costretto a morire, quando vi si negasse di scrivere. Questo anzitutto: domandatevi nell’ora più silenziosa della vostra notte: devo io scrivere? Scavate dentro voi stesso per una profonda risposta. E se questa dovesse suonare consenso, se v’è concesso affrontare questa grave domanda con un forte e semplice «debbo», allora edificate la vostra vita secondo questa necessità.”
La questione centrale è questa, la pittura e la scrittura rivelano ciò che sei, senza filtri o finzioni, ma in forme diverse. Quindi, per rispondere alla tua domanda, c’è una necessità di ricerca e di autenticità e verità alla base, questo collega i due ambiti, e una volontà di entrare in contatto con l’altro attraverso l’opera. Non escludo il piacere estetico della visione, la tensione alla bellezza, ciò che si svolge nel quadro insomma: equilibri formali, cromatici, pesi specifici, gestione dello spazio, volontà di rappresentazione, ecc. Ma questa sono io, non è detto che piaccia.
Pensi che i tuoi lettori possano trovare nella tua scrittura una forma di “sguardo” simile a quello che si prova osservando un quadro?
Questo lascio deciderlo a loro.
Nella prima pagina del libro c’è una dedica “A chi crede nell’impossibile”. Puoi dirci a chi o a cosa ti riferisci?
Mi riferisco a chi sogna, rarità.
Hai una poesia preferita nella raccolta? Se sì, quale e perché?
Non ho una poesia preferita in realtà, perché tutte rappresentano un atto di onestà.
Quale messaggio speri che i tuoi lettori possano trarre da “Una Voce”?
“Anch’io.”
Cosa ti ha ispirata di più durante la scrittura di questo libro?
Non credo nell’ispirazione, ma se devo risponderti penso ai miei libri.
Hai già altri progetti in mente, sia nel campo della scrittura che in quello della pittura?
Sì, ho una raccolta di poesie già impaginata che emergerà a suo tempo, collegata alla mia ultima produzione artistica. Sto realizzando dei lavori a penna e pastello su carta, formati A4 e 70×100, dal titolo “Conversazioni”. Si tratta di opere che rinunciano alla “seduzione” del colore per approdare al rigore geometrico, in cui forme e colori dialogano e si susseguono rincorrendosi.
Come immagini l’evoluzione del tuo percorso artistico nei prossimi anni?
Generalmente mi muovo per tappe, pur guardando lontano, perché presto molta attenzione a ciò che sento, soffermandomi spesso, per trarre insegnamento dalle mie esperienze. Mi piace progettare, ma parto dalle basi…“a partire da me”.
Qual è la cosa più importante che hai imparato da questo tuo primo libro?
Ho tutto da imparare!
Il libro “Una voce” è disponibile online e presso la libreria Mondadori Point di Fasano.

