Una magistrale lezione tenuta dalla docente Lea Durante per commemorare il genio della letteratura mondiale nel centenario dalla sua nascita
FASANO – Per Italo Calvino è stata l’ossessione di una vita: la continua ricerca delle infinite possibilità reali.
Si è tenuta ieri (1 febbraio) in una gremitissima Sala di Rappresentanza a Palazzo di Città, la conferenza dal titolo 100 anni di Italo Calvino. Storia di uno scrittore.
L’evento è stato promosso dal Presidio del Libro locale – in sala la referente Annamaria Toma – in collaborazione con l’istituto tecnico-professionale “G.Salvemini” e il liceo “Da Vinci”.
In apertura i saluti e il benvenuto dell’assessore Cinzia Caroli, nei panni di “padrona di casa”, a cui è seguita l’introduzione della docente Cinzia Cupertino.
Superba relatrice – per empatia e profondità – è stata la docente di Letteratura italiana presso l’Università degli studi di Bari, Lea Durante.
A lei il compito, arduo, di raccontare in poco più di un’ora la vita e le opere di Calvino.
Figlio di due ricercatori – padre agronomo e madre botanica –, rifugiati italiani a Cuba che decisero di rientrare in Italia a Sanremo nel 1925.
Nonostante la famiglia vantasse molti scienziati, il giovane Italo riesce a sviluppare la sua creatività letteraria.
Appartiene alla generazione che negli anni ’20 sotto il regime fascista, non conoscendo la libertà, si è fatta carico della resistenza, inventandosela.
È proprio allora che Calvino sviluppa il concetto che da soli non ci si può salvare: un mantra che coltiverà per tutta la vita.
A cominciare dal suo primo lavoro alla Einaudi come redattore dove frequenta un collettivo di lettura, convincendosi che è necessario raccontare unendo realismo e fantasia.
Per questo resterà sempre ammaliato dalla fiaba e dal fiabesco: la forma letteraria più longeva, l’unica che può rappresentare le varie personalità e le tante emozioni.
Paura e coraggio saranno quelle preferite da Calvino nei suoi scritti.
Da Il sentiero dei nidi di ragno a Il visconte dimezzato, da Il barone rampante a Il cavaliere inesistente.
Sarà con Fiabe italiane del 1956, che l’autore scoprirà l’esistenza di una matrice culturale europea che si indentifica nella fiaba.
Il nocciolo delle storie è sempre lo stesso – con minime varianti –, nelle varie regioni italiane e così pure nei vari paesi europei.
In quel periodo Calvino si staccherà definitivamente dal P.C.I, dopo che la Madre Russia aveva soffocato nel sangue prima la rivoluzione ungherese, poi quella di Praga.
Quelli sono anche gli anni della conquista dello spazio. E Calvino si tuffa nelle opere fantascientifiche vergandole con il suo inconfondibile stile.
Ecco che nascono Le cosmicomiche e la necessità di utilizzare le parole come strumenti – il gioco combinatorio – e della mutevolezza delle forme.
Con Le città invisibili poi, Calvino affronta la relatività del tempo e soprattutto dello spazio.
Siamo alla fine degli anni ’60 e lo scrittore si è ormai trasferito a Parigi dove frequenta il gruppo OuLipo e si immerge nello strutturalismo e nella semiologia.
In questo periodo la sua fervida immaginazione partorisce Il Castello dei destini incrociati: le storie già note si possono riraccontare. Proprio in virtù delle infinite possibilità.
Alla fine degli anni ’70 Calvino è stanco della scrittura.
Le sue ultime fatiche saranno Palomar, un racconto minimalista che inneggia a guardare le piccole cose, e Se una notte d’inverno un viaggiatore, in cui spiega e critica aspramente il postmodernismo.
Qui il genio raggiunge il suo apice: non si può più scrivere un solo romanzo per volta. Ecco che quindi inanella una serie di incipit, tutti strepitosi.
La morte coglierà Calvino alla quinta delle sette Lezioni Americane che aveva previsto di scrivere.
Cinque conferenze in cui sottolinea almeno un paio di valori assoluti: la leggerezza e la molteplicità degli eventi. Saranno il suo testamento intellettuale.
Vorrei cancellarmi come scrittore, aveva scritto Calvino. Per fortuna questo non è avvenuto perché siamo ancora qui – a cent’anni dalla sua nascita – a parlarne e a scriverne.