
Lo scrittore lucano ha presentato alla Casina Municipale il nuovo romanzo dedicato a Federico II in un incontro organizzato dal Presidio del Libro locale e l’Associazione Pro Selva
FASANO – Lo scrittore e giornalista Michele Prisco lo ha definito meridionale narratore.
A giusta ragione, perché quella di Raffaele Nigro è una voce unica e potente, capace di evitare ogni retorica e di creare personaggi che con la loro anima affondano nelle radici del suo-nostro Sud.
Il noto autore di origini lucane (nato a Melfi) ha presentato ieri (3 luglio) alla Casina Municipale della Selva il suo nuovo romanzo, Il cuoco dell’imperatore (La Nave di Teseo). A moderare l’incontro, organizzato dal Presidio del Libro locale e dall’Associazione Pro Selva, è stato Achille Chillà.
Ad aprire la serata i saluti di rito della presidente dell’associazione silvana, Rosanna Petruzzi che ha ringraziato la referente del Presidio Annamaria Toma (presente tra il pubblico) per il prezioso contributo e dato il ben ritrovato a Raffaele Nigro, che torna a Fasano dopo diciotto anni anni. La parola è passata quindi a Chillà che ha definito l’ospite «uno scrittore versatile» e il genere di questo romanzo «narrativa antropologica».
Un romanzo che a dispetto della mole si legge tutto d’un fiato.
È stato lo stesso Nigro che ha spiegato le motivazioni che lo hanno portato a scrivere un romanzo storico. «Perché l’antropologia è stata un po’ dimenticata dall’attuale narrativa italiana che punta al consumismo – ha dichiarato con una punta polemica –. Noi amiamo la storia nonostante il ministero della pubblica istruzione miri a cancellarla dai programmi scolastici».
Non è causale la scelta della voce narrante di questo romanzo: quella di Guaimaro Delle Campane, un uomo comune che però ha avuto la fortuna di studiare presso i gerosolimitani; così come la scelta di raccontare le vicende di un grande e importante regno, quello di Federico II di Svevia, lo Stupor mundi, mediante una narrazione semplice, «impastando l’inossidabile fede cattolica alle oscure credenze popolari».
L’espediente della lunga e puntigliosa narrazione, in cui la microstoria si interseca con la macrostoria, è una specie di memoriale che il cuoco Guaimaro è costretto a vergare per difendersi da un’accusa di omicidio.
Viene fuori così un profilo di Federico anche più intimo oltre a quello pubblico più o meno noto, come ad esempio l’immenso amore per la cultura araba – da sempre superiore a quella occidentale – che l’imperatore avrà modo di diffondere in tutta Europa grazie ai suoi lunghi viaggi.
Nigro, dopo aver deliziato i presenti con dettagli affascinanti dell’immensa cultura di Federico e della sua intensa vita, in chiusura ha confessato che Guaimaro ha rappresentato un po’ il suo alter ego.
Alle parole del cuoco ha infatti affidato l’esperienza della sua ultima parte di vita, dedicata alla politica: «Abbiamo già dato alla storia quello che la storia richiedeva. Torniamocene a casa».


