Sedici gli imputati, tra cui 4 fasanesi
FASANO – E’ stata emessa lo scorso 13 febbraio la sentenza dell’Appello bis relativa alla maxi inchiesta “Pioggia d’oro”. Una inchiesta legata all’indebita percezione di contributi pubblici (una truffa che era stata stimata in circa 8 milioni di euro) finalizzati al risarcimento dei danni causati alle aziende agricole dalle calamità naturali, nella quale sono 16 gli imputati tra cui 4 fasanesi.
Nel dicembre 2015 la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, a seguito dei ricorsi presentati da tutti gli imputati, aveva annullato senza rinvio tutte le condanne relative al reato di falso per prescrizione. Relativamente al reato di truffa, invece, la Cassazione, previa riqualificazione, aveva annullato con rinvio le condanne rinviando ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce, chiedendo la modifica del reato contestato ai 16 imputati nei primi due gradi di processo, dal 640 bis (truffa ai danni dello Stato) a peculato.
E proprio nei giorni scorsi la sezione promiscua della Corte d’Appello di Lecce ha rideterminato, riducendole considerevolmente, tutte le pene detentive nonché le confische relative ai sequestri eseguiti all’epoca dal Gip.
Un ottimo risultato, dunque, ottenuto dal collegio difensivo che è composto dagli avvocati Mario Guagliani, Marcello Zizzi, Massimo Manfreda e Michele Fino.
Queste le nuove pene rideterminate dalla Corte dell’Appello di Lecce.
Angela Cucci, 62 anni nativa di Fasano e residente a Cisternino è stata condannata a 4 anni e 7 mesi di reclusione. Precedentemente dalla Corte d’Appello era stata condannata a 5 anni di reclusione; in primo grado, invece, era stata condannata a 9 anni di reclusione.
Anna Maria Carucci, 48 anni, di Ceglie Messapica, è stata condannata a 3 anni di reclusione (nella precedente sentenza di Appello era stata condannata a 3 anni e 4 mesi di reclusione, mentre in primo grado era stata condannata a 4 anni di reclusione).
I coniugi Martino Carucci, 53 anni, di Ceglie Messapica, e Domenica Prete, 48 anni, di Ostuni, sono stati condannati a 2 anni e 6 mesi di reclusione ciascuno (precedentemente in Appello erano stati condannati a 2 anni e 10 mesi, mentre in primo grado avevano ottenuto una condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione ciascuno).
Pietro Carucci, 55 anni, di Ceglie Messapica, è stato condannato a 2 anni e 6 mesi di reclusione (nella precedente sentenza di Appello era stato condannato a 2 anni e 10 mesi di reclusione, mentre in primo grado la condanna era stata di 3 anni e 6 mesi).
Rosa Tommasina Montanaro, 81 anni, di Ceglie Messapica, è stata condannata a 3 anni di reclusione (nella precedente sentenza di Appello era stata condannata a 3 anni e 4 mesi di reclusione, rispetto ai 4 anni di condanna che le erano stati inflitti dai giudici di primo grado).
Per i coniugi di Pezze di Greco Vincenzo Melarosa, 63 anni, e Cosima De Matteis, 62 anni, la condanna è stata di 3 anni e 6 mesi di reclusione ciascuno (nel precedente secondo grado era stata di 3 anni e 10 mesi di reclusione; mentre in primo grado erano stati condannati a 4 anni e 6 mesi di reclusione ciascuno).
Ad un anno e 15 giorni di reclusione sono stati condannati i coniugi di Montalbano, Giovanni Laporta di 56 anni e Isabella Caramia di 52 anni (nella precedente sentenza di Appello erano stati condannati ad un anno e due mesi di reclusione ciascuno, mentre in primo grado erano stato condannati a 2 anni ciascuno).
Salvatore Sollazzo, 55 anni, di Torre Santa Susanna, è stato condannato a 3 anni e 11 mesi di reclusione (nella precedente sentenza di secondo grado era stato condannato a 4 anni e 3 mesi di reclusione, mentre in primo grado la condanna era stata a 6 anni); per la moglie Palmira Monticelli, 54 anni, la condanna è stata di 3 anni e 6 mesi reclusione (rispetto ai 3 anni e 10 mesi che le erano stati inflitti dal precedente secondo grado, e rispetto ai 5 anni e 6 mesi che le erano stati inflitti con la condanna di primo grado). Condanna a 2 anni e 15 giorni di reclusione ciascuno per i figli dei coniugi Sollazzo: Vito Antonio di 30 anni e Caterina Sollazzo di 33 anni (nel precedente Appello erano stati condannati a 2 anni e 2 mesi di reclusione, mentre in primo grado entrambi i fratelli erano stati condannati a 2 anni e 6 mesi di reclusione).
Salvatore Mazzotta di 68 anni di San Donaci, è stato condannato a 10 mesi e 15 giorni di reclusione (nella precedente sentenza di secondo grado era stato condannato ad un anno di reclusione, mentre in primo grado aveva ottenuto un anno e 6 mesi con la “pena sospesa nel termine e alle condizioni di legge”).
Infine per il figlio di Salvatore Mazzotta, Vito di 41 anni, anche lui di San Donaci, è stata confermata la condanna a 10 mesi di reclusione già inflittagli nel precedente Appello (in primo grado la sua condanna era stata ad un anno e 7 mesi pena sospesa).
La Corte d’Appello, inoltre, ha limitato per tutti gli imputati la confisca già disposta dal Tribunale di Brindisi riducendo ulteriormente sia le somme che i beni confiscati in relazione ai reati non estinti per prescrizione, e per alcuni imputati (Giovanni Laporta, Isabella Caramia e Vito Mazzotta) ha revocato la confisca dei beni disposta dal Tribunale di Brindisi.
Infine la Corte d’Appello di Lecce ha disposto la estromissione delle parti civili che si erano costituite, ovvero la Regione Puglia e la Provincia di Brindisi.
Ora il collegio difensivo attende di leggere le motivazioni della sentenza per valutare una eventuale ulteriore impugnazione in Cassazione.