Il fasanese Gerry Moio, attraverso l’arte, ci racconta quello che il virus ci ha tolto (e che la vita dovrebbe ridarci)
di Gerry Moio
“Credevate davvero che per mettere fine all’umanità bastasse soltanto una calamità?
Difficile… conoscendo l’uomo ce ne vorrebbero 3 o 4, contemporaneamente. Pandemia- frenesia- monotonia: tre parole, tre mesi, tre fasi… tre Dpcm!
Questa voglia naturale e irrefrenabile di socializzare omnibus viribus mi ha fatto finire per passare poco tempo con me stesso e siccome mi conosco bene, ho iniziato a sentirmi un po’ trascurato.
Sono passato troppo in fretta dalla voglia di non avere pensieri alla necessità di pensare e ho trovato un po’ di tranquillità in un cielo schiarito, in un vento di maestrale e in una coppia di maturandi alle prese con Schopenhauer: la loro spensieratezza, il loro stupor Mundi, la loro voglia di scoprire la vita dopo il Liceo mi ha fatto realizzare che, per una buona volta, non siamo noi ad essere debitori con la vita ma è lei ad esserlo con noi!
“Questa vita ci deve innanzitutto dei soldi” direbbe qualche cinico-materialista, anche se, considerando quanti ne abbiamo risparmiati di vizi e sfizi, forse stiamo pari.
Questa vita ci deve del lievito di birra, perché proprio quando ci eravamo rassegnati all’italianissima abitudine di andare a mangiare una pizza, ci ha dato una grande lezione: quante cose, o persone, diamo per scontate fino a quando non spariscono?
Questa vita ci deve dei sogni felici perché chi dice di non aver avuto gli incubi durante questi “domiciliari” mente: io per esempio ho sognato di fare una passeggiata per poi ricordarmi di essere in Lockdown! Che disastro! MI accorgo di essere vestito da Superman… ma senza scarpe! Cerco di scappare ma come se non bastasse non riuscivo neanche a ricordare la strada di casa! Dato che, nel sogno, noto una macchina della Guardia Di Finanza a dirigere il traffico (per un finanziere, un incubo), avrei potuto chiedere indicazioni ma il terrore di pagare 400 dream-coin, moneta onirica, avrà prevalso e ho dovuto aspettare di risvegliarmi tutto sudato.
Questa vita ci deve un po’ di serenità, perché chi è nato dagli anni ‘90 in poi ha costruito sull’insicurezza i pilastri della propria esistenza e adesso rischia addirittura di ritrovarsi senza fondamenta.
Questa vita ci deve un po’ di amori, nati e morti in quarantena anche se forse è meglio così. D’altronde, il distanziamento sociale è come il vento: “spegne i fuochi piccoli e accende quelli grandi!”
Questa vita ci deve il giubottino di pelle, il maglioncino più leggero, il mal di gola per la sciarpa andata via al primo sole, uscire la mattina a maniche corte e tornare a casa la sera con il piumino “100 grammi”.
Questa vita ci deve una Primavera perché viviamo troppo poco per perdercene una! Firmerei per viverne ottanta in questa mia quarantena sul pianeta Terra anche se so benissimo che una volta al capolinea farò di tutto per richiedere il bonus 600 giorni per la mia Partita-Vita.
Questa vita ci deve una Primavera perché lei è la ragazza da sposare che nessuno si fila perché tutti pensano alla ragazza scosciata, l’Estate.
Questa vita ci deve una Primavera perché se fossimo stati rinchiusi a gennaio e febbraio nessuno se ne sarebbe accorto mentre lei da sempre è sinonimo di libertà!
“Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”: perché se la libertà è un bicchiere di tonica, la Primavera è una lacrima di gin.”