
Superba prova dell’attrice romana nel monologo “Elena la matta”, storia della donna che aveva provato ad avvisare, non creduta, del rastrellamento al ghetto ebraico di Roma
FASANO – Piccole storie che fanno grande la Storia. Come quella di Elena Di Porto, una povera ebrea additata come pazza e derisa da tutti.
La sua vita, tratta liberamente dal libro di Gaetano Petraglia, è al centro di Elena la matta, con la regia, efficacissima, di Giancarlo Nicoletti.
Il monologo è andato in scena ieri (27 aprile) al Teatro Kennedy nell’ambito della Stagione di Prosa organizzata dalla nostra Amministrazione comunale.
In apertura di serata, ci sono stati i ringraziamenti dell’assessore Cinzia Caroli che ha tracciato il bilancio di una positiva e molto apprezzata rassegna.
A vestire i panni di Elena la matta, una strabiliante Paola Minaccioni, che conferma la regola che solo le attrici comiche diventano irraggiungibili nei ruoli drammatici.
La vulcanica ed emozionante performance – da standing ovation – dell’attrice romana, è stata accompagnata da due validi musicisti, Valerio Guaraldi (autore delle musiche) e Claudio Giusti.
Il racconto, circolare, comincia quando Elena dopo aver scoperto l’esistenza di una lista di famiglie ebree da deportare dal ghetto ebraico avvisa i capi della comunità.
«Te pare che er papa ce fa portà via sotto l’occhi sua? J’avemo dato 50 kg d’oro» è la risposta secca degli uomini che preferiscono festeggiare lo shabbat.
Elena non sarà creduta, perchè è matta. Così, riavvolto il nastro della memoria, è lei stessa che ci racconta la sua storia.
Donna ribelle Elena, che ama troppo la sua libertà. Il ruolo di moglie non fa per lei, che anticonformista ama giocare al biliardo. Uno scandalo.
«Che male c’è a volé esse libera? Io perché non potevo esse libera?» ci chiede accorata Elena.
E quando, corcata de botte dal marito per l’ennesima volta, in preda a una crisi lo accoltella, la rinchiudono in manicomio.
A Santa Maria della Pietà la Di Porto ci andrà varie volte, perché è uno spirito indomito e non sa tenere a freno la lingua.
Sullo sfondo, intanto, scorre la Storia: la promulgazione delle leggi razziali e Mussolini che trascina la nazione in una sanguinosa e inutile guerra.
Fino a quando, la fatidica notte del 16 ottobre del 1943, le SS naziste, nonostante le false rassicurazioni, rastrellano il ghetto romano deportando oltre mille ebrei.
Proprio sotto gli occhi del Papa, che invece se ne sta muto.
A nulla serviranno i tentativi consolatori della Di Porto, che invece di scappare ha deciso di salire anche lei su quel treno infernale.
È solo momentaneo, fino alla fine della guerra – dice – E mica ce potranno ammazzà tutti!»
Infatti, di quei mille solo 16 faranno ritorno. Quello che è accaduto, in barba allo stupido negazionismo, lo sappiamo tutti.
Fotoservizio di Mario Rosato.

















