La divertente commedia di Armando Curcio in scena ieri al Cinema Teatro Kennedy
FASANO – Scritta nel 1940 da Armando Curcio, A che servono questi quattrini – che fu interpretata da due giganti del teatro italiano e non solo, i fratelli De Filippo – deve molto, nel suo impianto narrativo, al capostipite della commedia napoletana, Eduardo Scarpetta. E classica è stata la messa in scena firmata da Andrea Renzi che il pubblico fasanese ha potuto godere ieri sera (10 febbraio), nell’ambito della Stagione di Prosa approntata dal Comune di Fasano in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese. Solida e di pregiato livello attoriale l’intera compagnia, in grado di sostenere il ritmo elevato dato dal regista al copione, anche grazie ad alcune indovinate trovate sceniche.
Protagonista della storia è il Marchese Parascandolo (uno strepitoso Giovanni Esposito), detto il Professore,che dopo essersi ritrovato povero, insegna stoicamente a un manipolo di curiosi allievi che il lavoro non serve a nulla e che a nobilitare l’uomo sia solo l’ozio, oltre che a disprezzare il vil denaro.
Tra questi squinternati seguaci c’è il giovane Vincenzino Esposito (Valerio Santoro), la grande disperazione di sua zia Carmela (interpretata da uno scoppiettante Gennaro di Biase), che non vede di buon occhio il legame del nipote con il Professore, a suo ben dire capace solo di riempirgli la testa con stupidaggini filosofiche.
Così il marchese, per convincere Vincenzino delle sue teorie, architetta un piano a suo danno: gli fa credere prima che abbia ereditato una bella somma da un lontano cugino, poi convince l’intero vicinato a fargli credito. Così Vincenzino avrà abiti nuovi ed eleganti e il padrone di casa (Fabrizio La Marca) accondiscendente a tutti gli arretrati di affitto. E, ciliegina sulla torta, si ritroverà tra le braccia anche la bella Rachelina (Chiara Baffi), sorella di Ferdinando La Rosa (Luciano Saltarelli) il quale, trovandosi in gravi difficoltà economiche, è convinto suo malgrado che il matrimonio con Vincenzino possa risolvere tutto, evitando così di finire strozzato dallo strozzino del paese, Carlo Palmieri.
Alla fine l’inganno verrà svelato e il povero Vincenzino avrà imparato l’assurda lezione: per guadagnare soldi non occorre lavorare, basta essere furbi. E soprattutto che “i soldi non fanno la felicità”. Soprattutto se sono pochi.