
Ieri il penultimo appuntamento della XII edizione del Festival
FASANO – “Dominare o essere dominati”? Non è forse questa la massima che meglio presenta la lotta di classe che ha da sempre accompagnato l’uomo? Una risposta, parecchio brutale, è arrivata nello spettacolo “Signorina Julie”, portato ieri sera (6 novembre) sul palco del Teatro Sociale dalla Compagnia Giardini dell’Arte di Firenze, nell’ambito del XII Festival Nazionale di Teatro “Di Scena a Fasano”.
Lo spettacolo, nato a fine ‘800 dalla penna di August Strindberg, non senza problemi per la Svezia puritana dell’epoca che arrivò a censurarlo, ha visto la regia di Marco Lombardi e la presenza di tre attori eccezionali nell’interpretare i protagonisti dell’atto unico. Un’oscura tresca nata fra la nobile contessina Julie (Raffaella Afeltra), il servitore Jean (Fabio Rubino) e la cuoca Kristin (Brenda Potenza) muove i fili di una complicata tela.
Lo spettatore sin da subito si ritrova catapultato nelle atmosfere di fine ‘800 di una cittadina svedese, dove la morale è dominata dal puritanesimo cristiano che non accetta un atteggiamento anticonformistico, che tuttavia si nota dai rigidi comportamenti della cuoca. La signorina Julie mostra invece tutto quello che non si confà a una nobildonna; è infatti viziata, volgare e irrazionale, frutto di vecchi drammi familiari che continuano a tormentarla. D’altro canto si assiste al servo Jean, abile arrampicatore sociale, che tenta di portare la situazione a suo vantaggio quando cade nell’inganno amoroso offerto dalla sua “padrona”. È qui che emerge la bravura attoriale nell’interpretare figure non facili, ma qui emerge soprattutto la condanna di Strindberg verso la società ipocrita dell’epoca.
Siamo nella notte di San Giovanni, a fine giugno, dove nell’immaginario collettivo tutto può succedere e tutto si lega mediante scene erotiche e dionisiache, fra rapporti carnali e vino a profusione, che ricordano scene provenienti dal Satyricon di Petronio. L’opera, in un unico atto, affronta i temi forti della rivalsa sociale e della lotta di classe, attiva oggi ancora in moltissime realtà, e basa la propria trama sulle differenze esistenti, e i protagonisti non fanno che ribadirlo, tra il genere maschile e quello femminile, tra chi serve e chi viene riverito. Il comprimario è la cuoca, moralizzatrice e rappresentante perfetta della Svezia di quel tempo, che non cede neanche davanti alle lusinghe della sua padrona.
Uno spettacolo a tinte cupe, che regala allo spettatore momenti di grande tensione dall’inizio fino alla fine, dalla scoperta dei personaggi a decisioni macabre, nel perfetto stile che il drammaturgo svedese ha voluto portare in scena.
Il prossimo e ultimo appuntamento del Festival si terrà sabato 13 novembre con lo spettacolo “Mi chiamo Frankestin”.
Fotoservizio di Francesco Schiavone