Il giovane giornalista fasanese ha ritirato il premio durante il Festival dedicato al grande romanziere statunitense che si è svolto a Caorle
FASANO – Dopo il “Premio Walter Tobagi” vinto lo scorso maggio, la talentuosa penna di Pasquale Ancona ha ricevuto un altro lusinghiero riconoscimento. Il giornalista 25enne fasanese infatti ha vinto il “Premio Papa Ernest Hemingway” durante il Festival “Hemingway, il Nobel nella laguna di Caorle” che si è concluso la scorsa domenica 26 luglio. Pasquale ha sbaragliato la concorrenza degli altri due finalisti con un pezzo intitolato “L’America di Trump e il ruolo dei federali”.
«Sicuramente l’emozione non è calcolabile, non si può restituire a parole – ha dichiarato a caldo il giornalista raggiunto telefonicamente subito dopo la premiazione –. È stata una soddisfazione enorme, fra le più grandi di sempre per me, non posso negarlo. Ma poi, nei due giorni che ho passato a Caorle, un’isola nella laguna veneta dalla bellezza eccezionale, ho avuto modo di parlare, confrontarmi e anche scontrarmi con tante personalità: giornalisti, scrittori, professori universitari e non solo. E il dibattito che ne è nato ha davvero reso merito a quello che credo sia il principale compito del giornalismo: fornire gli strumenti per consentire una consapevole partecipazione democratica. Vincere il Premio Papa – sottolinea Pasquale – per me significa questo: aver avuto la possibilità, nel mio piccolo, di sentirmi utile alla democrazia».
Nel tuo pezzo fai una descrizione dell’America lucida ma tremenda: odio razziale e violenza, rischio dell’affermazione di un regime autoritario e limitazione della libertà. Il sogno americano è davvero tramontato? E in che momento secondo te?
«Potrei darti una risposta acchiappa like e dirti che è morto definitivamente quando è morto George Floyd, ma non credo sia così. Anzi, non credo che sia morto, e il movimento #blacklivesmatter, assieme a tutto ciò che sta nascendogli intorno ne è la prova. Io non sono un filoamericano, anzi, sono un gaberiano e per questo dovrei essere schierato dalla parte opposta rispetto a chi insegue l’american dream, ma c’è una cosa molto interessante e forse poco trattata in Italia che in queste ore sta avvenendo in America. Il dibattito ruota attorno a quella che in italiano potremmo tradurre con la parola “intersezionalità”, cioè quella linea di pensiero, o di confronto, che mette insieme i diritti delle minoranze più diverse: dagli afroamericani, alle donne, alle comunità LGBT, fino ai fridays for future, che protestano tutti contro i privilegi del “maschio bianco etero”, che poi è quello che ha votato Donald Trump ormai quattro anni fa. Ecco, io credo che il sogno americano, diverso da quello del luogo comune, più passionale e meno capitalistico, rinasca tutte le volte che da quella parte dell’Atlantico migliaia di persone alzano la voce per rivendicare questi diritti, rischiando, come sappiamo, anche di morire».
Quindi non ritieni che qualcosa si sia spezzato anche prima di Trump, con i Bush per esempio?
«Qui entriamo in un terreno scivoloso. In un libro che ha davvero segnato la mia formazione, Andre Vltchek e Noam Chomsky discutono in merito al concetto di “terrorismo occidentale” e a quella idea più che discutibile di “esportare la democrazia”. Ma lì non è morto il sogno americano, lì, assieme alle vittime delle guerre in Iraq, in Yemen, e in tutto il Vicino Oriente, è morto il pensiero occidentale, è morto l’umanesimo nella sua declinazione contemporanea. Ora il difficile è cercare di farlo rivivere, dobbiamo solo capire come. E il giornalismo di qualità, in questo, dovrebbe essere lo strumento essenziale».
Le nostre congratulazioni a Pasquale: faccia pulita e idee chiare. Quello che ci piace raccontare.