Ora gallo, poi lupo: Capossela, in concerto ieri al Kennedy per Fasanomusica con l’Orchestra della Magna Grecia, sa appassionare e denunciare con la sua musica libera
«In epoca di pestilenze sentiamo la necessità di cantare l’amor». Scriveva così Boccaccio nel Decamerone e oggi, a quel medicamen spirituale contra pestem ci pensa Vinicio Capossela, che ha presentato lo scorso 14 febbraio il suo nuovo album “Bestiario d’amore”. Non si tratta però di un album, ma di un “poema musicato” per voce, pianoforte e orchestra, accompagnato da un libretto d’illustrazioni curato da Elisa Seitzinger. Capossela si è ispirato a un eredudito del milleduecento, Richard De Fournival, che dava voce ai lamenti di un uomo innamorato attraverso arditi paragoni tra uomo e animali. La prima esibizione di questo nuovo progetto l’ha eseguita lo scorso sabato a Londra, nella cattedrale gotica Union Chapel, e ora la nuova tappa del suo tour ha toccato Fasano ieri sera al Teatro Kennedy, all’interno della rassegna Fasanomusica. Le creature del Bestiario si sono mescolate agli altri personaggi cantanti nel suo repertorio, che nel 2020 festeggia 30 anni dal primo album.
Questo lavoro sembra quasi la continuazione naturale di “Ballate per uomini e bestie”, come se gli animali rappresentassero un’estensione della nostra personalità. Vinicio Capossela racconta l’amore definendolo un processo che “mostrifica” chi lo prova: gli innamorati tendono infatti a idealizzare o a mostrarsi per quello che non sono, pur di piacere, e questo li snatura. Il Bestiario insegna che non si basta a se stessi e che, come i protagonisti del Decamerone si riparano dalla peste sublimandosi nei racconti, così dobbiamo fare noi con l’amore: perché se non si può evitare, si deve perlomeno imparare a celebrarlo. Vinicio Capossela ha proposto a Fasano quella che definisce la “versione macroscopica” del suo tour, accompagnato dall’Orchestra della Magna Grecia diretta da Stefano Nanni.
“Bestiario d’amore” è un concerto lungo e generoso, pieno di musica significativa, abbondante. Il cantante indossa una maschera dietro l’altra, non solo metaforicamente. Prima gallo, poi lupo, orso, giraffa e infine una successione di cappelli che lo rende nuovo in ogni esecuzione. La performance di Capossela si sviluppa in un tempo fuori dal tempo dove tutto può accadere. E i suoni cupi, veloci nelle percussioni, vengono poi impreziositi dai violini e dai fiati dell’orchestra che esalta i nuovi arrangiamenti. I suoi concerti sono spettacoli concettuali, sempre diversi. In circa due ore e mezza ha presentato un repertorio imprevedibile perché lontano dalla logica delle greatest hits, in cui la magia si accompagna alla cagnara, mescolando la denuncia al divertimento. Gli schemi con Capossela si ribaltano e il pubblico sa che dopo una storia disperata, saprà poi cantarne un’altra che lo porterà ad alzare le mani regalando attimi sacri di libertà.
Vinicio Capossela è una scheggia del pop italiano, ma anche la sua espressione più colta. Nei suoi testi c’è la letteratura che racconta da dove veniamo: cita Saffo, Omero, Bukowski facendo muovere l’ascoltatore su piani diversi e complementari. Ci ricorda che siamo tutti stranieri in cammino sospinti dal vento. E chi vuole darci dei limiti, chiudendo il mondo, non ha capito che noi non vediamo confini. D’altronde è a questo che ci ha abituato Capossela con la sua musica, in grado di svilupparsi in una prospettiva verticale che insegna a superare la necessità di etichettare tutto a ogni costo. In questo contesto si inserisce inoltre l’uscita del brano, proposto circa un mese fa, “+Peste” interpretato con Young Signorino, un pezzo nato in rete e rimasto lì, senza figurare nel nuovo album. Capossela ha dato vita a un duetto improbabile, ma che ha funzionato perché è contaminato dai suoni della musica contemporanea.
Un artista sacro come Capossela, nel senso pasoliniano del termine, cioè indispensabile al presente perché ricercatore di una tradizione che non c’è più, si è unito alla trap per parlare della pestilenza di oggi che lui vede nelle oscenità della rete. Alla canzone che dà il nome all’album, che dura dieci minuti e che presenta un catalogo di bestie nelle cui peculiarità riconoscersi, seguono anche altri due brani ricavati da poesie trobadoriche. Le atmosfere di Capossela esplodono nelle immagini cavalleresche e sono sublimate nelle associazioni allegoriche che descrivono chi siamo, superando il tempo e le mode artistiche, talvolta scarnificanti, del nostro tempo.
Fotoservizio di Mario Rosato.