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Il celebre professore pordenonese protagonista di una brillante lezione-presentazione del suo nuovo romanzo “Una vita non basta”
FASANO – Si è svolto ieri (15 febbraio), presso la Biblioteca di Comunità “I Portici” I. Ciaia, il terzo appuntamento della rassegna letteraria “Pòr-ti-ci”, evento promosso dall’assessorato alla Cultura.
Attesissimo ospite è stato Enrico Galiano, il professore-scrittore che ha presentato il suo nuovo romanzo dal titolo Una vita non basta edito da Edizioni Garzanti.
In apertura i saluti e i ringraziamenti di Ketty Loconte seguita dall’assessore Cinzia Caroli, che introducendo Galiano, ha definito il suo libro “impattante, scritto in un linguaggio giovanile”.
Una sorta di lezione quella del professore pordenonese, che ha usando il suo ultimo lavoro come un pretesto per lanciare molteplici suggestioni.
Una vita non basta racchiude infatti le risposte, postume, a una serie di domande “ingombranti” postegli dal giovane Ismaele al termine di una passata presentazione.
Come convincere un ragazzo a non mollare la scuola? Come si fa a trovare la propria strada? Come si fa a non deludere i propri genitori? Come si può non essere più invisibili agli occhi degli altri?
Galiano ha così snocciolato interessanti osservazioni rivolte ai molti giovani presenti e soprattutto ai genitori e agli insegnanti che spesso sono anche genitori.
Un ruolo difficile quello dell’insegnante, alle prese con le tante paure dei ragazzi e con il compito di far trovare, o ritrovare, la giusta motivazione.
L’autore ha quindi sottolineato l’importanza del benessere degli studenti – cosa che Rodari aveva intuito già mezzo secolo fa – e la forza del binomio memoria-emozioni.
Galiano ha proseguito il suo monologo parlando dell’effetto Pigmalione, detto anche effetto Rosenthal, basato sulla profezia che si autorealizza.
«Un bambino più dotato o meno dotato degli altri che viene trattato in maniera diversa, finirà per diventare proprio come l’insegnante lo ha immaginato».
Compito dell’insegnate dunque non è quello di inculcare sapere, ma quello far venire fuori, di sottrarre e soprattutto di sottrarsi.
«Insegni non per quello che sei, ma per quello che sai – ha affermato Galiano –. Bisogna scovare la risorsa dentro un difetto, riconoscere la musica che si nasconde dietro un rumore. Io sono fortunato a fare l’insegnante perché sono presente proprio nell’attimo in cui quel rumore si manifesta».
Il compito del genitore, invece, Galiano lo ha racchiuso in una parola giapponese, Oya, che significa “stare in piedi su un albero a guardare”.
«La mia più grande soddisfazione di genitore, insegnante e scrittore – ha concluso – è quello di far capire ai giovani che sono loro il motore della propria vita».
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