È andato in scena ieri il secondo appuntamento in concorso della XIII edizione del Festival
FASANO – A cosa aspiriamo al termine della nostra vita? Forse alla conoscenza eterna? E se questo dono si rivelasse il male peggiore? Tante sono le domande che son venute in mente al pubblico che ieri sera (22 ottobre), al Teatro Sociale, ha assistito allo spettacolo “Faust”, tratto dall’omonima opera drammatica di J.W. Goethe.
Lo spettacolo, diviso in due atti da sessanta minuti ciascuno e portato in scena dai dodici attori della compagnia Streben Teatro di Carbonera (Treviso), nell’ambito della XIII edizione del Festival “Di scena a Fasano” come secondo spettacolo in concorso, si apre con un prologo rivolto direttamente al pubblico. In un breve scambio di battute il poeta rompe la quarta parete rivolgendosi al pubblico, chiedendosi cosa sia meglio offrire loro. Segue poi un dialogo fra Dio e Mefistofele dove quest’ultimo, incapace di accettare la presa di coscienza (il lume) da parte dell’uomo, sfida Dio dicendo che riuscirà a portare Faust, un uomo razionale, a perdere ogni barlume di ragione, condannandolo al peccato.
Ed è così che il primo atto vede l’ingresso in scena del Dott. Faust, un uomo costretto sulla sedia a rotelle, circondato da un’oscura scenografia, come buia ormai è la sua vita, giunta al termine dopo un lungo percorso di ricerca. Faust è l’emblema della gente priva di speranza, di ogni gioia, che si limita a “strisciare come un verme”. Di contro vi è Wagner, il suo fido assistente, ottimista sul progresso umano.
Cieco nella sua imminente fine, Faust si affida alle ingannevoli lusinghe di Mefistofele, diavolo tentatore che gli propone un patto: la sua anima in cambio dell’eterna conoscenza. Il dottore accetta, con l’aiuto di una strega serva del demonio, e con riacquisito vigore si rimette alla ricerca della verità delle cose, incontrando sul suo percorso l’innocente e bella Margherita, il cui destino verrà irrimediabilmente segnato dal suo passaggio.
Nel secondo atto l’opera ci trasporta in un mondo onirico, fatto di regine decadute e amori evanescenti, come quello che il protagonista spera di provare per la bella Elena di Troia, che però gli sfuggirà. Così Faust, anni dopo, torna nella sua casa dove scopre un assistente trasformarsi in uno stimato dottore, ma soprattutto scopre l’infame destino che attende Margherita, condannata in una cella in preda ai deliri per aver affogato il figlio frutto della loro relazione. Faust così può dunque morire, ormai cieco e vuoto di ogni speranza, e Mefistofele reclamare la sua anima. Ma è qui che tutto cambia, con il padre celeste che richiama il figlio peccatore in Paradiso, certo che ogni uomo che aspira all’infinito è destinato alla Salvezza.
L’opera teatrale ha una scenografia attenta e ben curata, per quanto povera, così come ricercati sono i dialoghi fra gli attori e le atmosfere dal sapore “steampunk” che rimandano al vuoto della materia terrena. Il secondo atto diventa più lento, forse troppo, e simbolico del percorso di consapevolezza del dottore, ma il finale salvifico rende il pubblico sereno sul bene che ancora una volta sconfigge il male.
Il prossimo appuntamento si terrà sabato 29 ottobre con lo spettacolo “Menecmi”.
Fotoservizio di Francesco Schiavone.