Ritorna a Fasano il giornalista e scrittore aretino con lo spettacolo “E pensare che c’era Giorgio Gaber”
FASANO – Un atto d’amore in un appassionato racconto di un artista molto amato. Questo è lo spettacolo “E pensare che c’era Giorgio Gaber”, andato in scena ieri (10 dicembre) sul palco del Teatro Sociale.
Il racconto musicale ideato e messo in scena da Andrea Scanzi, è stato il penultimo appuntamento del 2023 di “LibriAmo…tra le masserie!”.
La rassegna letteraria è stata organizzata dal Mondadori Point locale di Laura De Mola – che ha fatto gli onori di casa a inizio serata – in collaborazione con la nostra testata.
Uno spettacolo intenso – ben ristrutturato e con efficaci contributi video e audio – tratto dall’omonimo libro che il giornalista e scrittore aretino ha pubblicato per Paperfirst.
Come scrive lo stesso Scanzi, Gaber è stato uno dei più grandi pensatori italiani del Novecento. Era così avanti che si metteva quasi sempre fuori gioco da solo.
La narrazione parte dall’ultima immagine televisiva di Gaber: un uomo ormai malato, seduto, con una gamba distesa per alleviare il dolore. Arrabbiato e deluso.
Un ritorno in un luogo poco amato, la televisione, assieme all’amico di sempre, Adriano Celentano.
E quella che doveva essere una festa, restituisce al pubblico un mesto ricordo dell’artista, che poco più di un anno dopo ci lascerà per sempre.
Scanzi allora, riavvolge il nastro e parte dagli inizi della carriera di Gaber, agli anni sessanta e alle canzonette melodiche come Non arrossire, Torpedo blu e La ballata del Cerutti.
Poi negli anni ‘70 arriva la svolta. E Gaber ne avrà molte nella sua carriera. Arrivano il Piccolo di Milano, il Teatro Canzone e una esaltante tournee con Mina e soprattutto l’incontro con il pittore Sandro Luporini.
E inizia una lunghissima serie di spettacoli memorabili e canzoni iconiche come La libertà. La libertà non è uno spazio libero. Libertà è partecipazione.
O come Buttare lì qualcosa: Opporsi al potere, cambiare per poi reinventare. Il potere. E non ho visto mai nessuno buttare lì qualcosa e andare via.
E ancora lo spettacolo dal titolo Libertà obbligatoria, in cui per la prima volta Gaber dice la parola noi.
Tra i vari monologhi sferzanti si staglia la canzone d’apertura I Reduci (i sopravvissuti al ’68) e quella di chiusura, la profetica Il cancro.
Un cancro del pensiero che ha gettato l’uomo nell’incertezza da travisare il senso stesso della libertà. Splendido a questo proposito il monologo dal titolo L’America.
Gaber prosegue con le sue sferzate intellettuali, con i suoi schiaffi. Chiede aiuto a Battiato e Giusto Pio e crea lo spettacolo Polli di allevamento che contiene la disturbante Quando è moda è moda.
Una canzone che rivela un Gaber sempre più arrabbiato e alla deriva emotiva: Non sono più compagno né femministaiolo militante; mi fanno schifo le vostre animazioni, le ricerche popolari e le altre cazzate.
Ma l’artista milanese non ha intenzione di darsi una calmata e qualche anno dopo incide Se io fossi Dio, 14 minuti di puro incazzo.
Qui Gaber se la prende con chiunque, persino con Aldo Moro (responsabile maggiore di vent’anni di cancrena italiana).
Così, all’improvviso, negli anni ’80 Gaber chiude con la politica. E i suoi spettacoli li incentra sull’uomo.
Gira l’Italia prima con lo spettacolo Il caso di Alessandro e Maria con Mariangela Melato poi con il teatro di evocazione: Io se fossi Gaber, Parlami d’amore Mariù, e due spettacoli in prosa, Il grigio e Il Dio bambino.
Nel 1992 sull’Italia cala la mannaia di Mani Pulite. In Gaber ritorna la voglia di riparlare di politica e scrive Qualcuno era comunista, probabilmente il suo apice artistico.
Che arriva anche verso la fine della sua esistenza terrena. Nonostante la malattia lo consumi, gira i teatri con gli spettacoli E pensare che c’era il pensiero e Un’idiozia conquistata a fatica.
Postumo uscirà un suo disco, dal titolo che è la summa dell’ultimo Gaber-pensiero, Io non mi sento italiano.
Scanzi in chiusura sottolinea come, nonostante i numerosi detrattori, vada apprezzata in tutto quello che ha creato Gaber, la sua intenzione del volo. Di sentirsi sempre e comunque un uomo vivo e libero.
Summa di questo volo è il monologo intitolato Il suicidio, che si chiude con una frase emblematica per comprendere Gaber e il suo testamento artistico: C’è una fine per tutto. E non è detto che sia sempre la morte.
Prossimo appuntamento: martedì 12 a Masseria Torre Coccaro con Mara Venier che presenta il libro di Cristina Ciacci, dal titolo Mio padre Little Tony.
Fotoservizio di Mario Rosato.