L’editrice Laura De Mola plaude all’azione della magistratura: “Intraprese ulteriori azioni a tutela del nostro giornale”
FASANO – Facebook non è la prateria del vecchio West, dove chiunque si arrogava il diritto di uccidere. Lo ha sentenziato, in prima istanza, il Tribunale di Brindisi, che era stato chiamato a pronunciarsi sulla configurazione giuridica del commento postato da un 49enne fasanese sulla pagina Facebook di GoFasano. Lo ha ribadito la Corte di appello di Lecce, a cui il difensore dell’indagato si era rivolto chiedendo la riforma della sentenza del giudice di primo grado. Lo ha sentenziato in via definitiva la Corte di Cassazione.
Vagliando il ricorso presentato dal difensore del 49enne fasanese, i giudici della quinta sezione della Suprema corte hanno ritenuto inammissibile l’istanza. La Cassazione ha dichiarato “inammissibile il ricorso” e ha condannato “il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende”. L’imputato è stato anche condannato alla “rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3800 euro, oltre accessori di legge”.
A rivolgersi, all’epoca, alla Procura della Repubblica di Brindisi fu il direttore della testa giornalistica online Gofasano.it. L’esposto prendeva le mosse da un commento, pubblicato sul gruppo pubblico Facebook “Gofasano.it – Notizie Fasano”, in calce alla notizia inerente la scoperta di una coltivazione di marijuana. Il post veniva commentato dal 49enne fasanese poi finito sotto processo e condannato in questo modo: “Grandissimo pezzo di merda che non sei altro ora voglio che metti per esteso nome e cognome dei due fasanesi perchè le cose si fanno uguali per tutti se no giuro che se mi capiti tra le mani povero te”.
I giudici hanno ritenuto che questo commento integri gli estremi del reato di diffamazione e di minacce. Di qui la condanna all’autore dello stesso da parte del Tribunale di Brindisi. Condanna confermata dalla Corte di appello di Lecce e diventata definitiva dopo la pronuncia della Cassazione.
Che gli insulti su Facebook possono rappresentare una diffamazione è un dato di fatto acquisito. Anzi, per la Corte di Cassazione “integrano lo stesso reato”. Nella vicenda che vedeva alla sbarra il 49enne fasanese i giudici hanno sentenziato in tre gradi di giudizio che vomitare addosso al direttore di un giornale offese e minacce integra gli estremi di almeno due fattispecie di reato. Il monito vale per tutti: su Facebook e, più in generale, su internet non tutto è possibile.
“Per questo motivo la nostra testata – ha assicurato l’editrice Laura De Mola, che plaude all’azione della magistratura – ha intrapreso azioni di tutela, anche di recente, nei confronti di chi crede che sui social network sia tutto lecito e possibile”.