L’intervista al preside dell’Istituto Comprensivo “G. Galilei”, ora ufficialmente in pensione.
FASANO – L’Istituto Comprensivo “G. Galilei” di Pezze di Greco ha da poco salutato una figura iconica della sua storia educativa, il preside Silvestro Ferrara, che ha recentemente annunciato il suo benemerito ritiro dopo una carriera straordinaria nel mondo dell’istruzione.
Attraverso decenni di impegno, dedizione e un instancabile desiderio di innovazione, il preside Ferrara ha plasmato il corso dell’istruzione nella nostra comunità, affrontando sfide con determinazione e ottenendo successi significativi nel suo ruolo di dirigente scolastico. Ma prima di guidare questa istituzione con maestria, ha condiviso il suo sapere come rispettato docente.
Gofasano ha avuto il piacere di intervistarlo, esplorando la sua straordinaria carriera, il suo impatto sulla scuola e la sua transizione verso una ben meritata pensione.
Quali sono stati i momenti più significativi della sua carriera come preside dell’Istituto Comprensivo “G. Galilei” di Pezze di Greco?
Questa è una domanda difficile perché di momenti significativi ce ne sono stati tanti. Ma sintetizzando al massimo ne voglio ricordare tre, uno per ogni ordine di scuola:
– il Progetto “Innovazioni didattiche in Mostra” per la Scuola dell’Infanzia, una sorta di sperimentazione e di “ricerca-azione”, della durata di un anno scolastico, in cui le docenti si misuravano con un “Campo di esperienza” (es. Immagini, suoni e colori) e, attraverso approfondimenti didattici e culturali, sperimentavano modalità, tecniche nuove ed esperienze da proporre ai bambini. Alla fine del percorso, negli ultimi giorni di scuola, in ogni plesso, venivano allestite delle Mostre aperte ai genitori in cui si esponevano i “lavori” dei bambini e si illustrava il percorso didattico seguito e gli obiettivi raggiunti. Per cinque anni consecutivi, tanti quanti sono i “Campi di esperienza” (cioè l’equivalente delle discipline di studio negli altri ordini di scuola), le Maestre si sono messe in gioco, hanno studiato, si sono aggiornate, hanno “scavato” nella propria creatività per fornire stimoli nuovi e rendere “visibile” la grande mole di lavoro che si svolge nelle Scuole dell’Infanzia e che spesso pochi apprezzano, proprio perché non facilmente decodificabile.
– il “Progetto Lettura” nella Scuola Primaria, un lavoro extracurriculare mirato al potenziamento delle abilità linguistiche di base dei ragazzi e delle ragazze. Com’è noto, senza adeguate competenze linguistiche in termini di lettura, comprensione e produzione scritta, oggi è difficile integrarsi, comprendere il Mondo complesso in cui viviamo e sviluppare un adeguato senso critico rispetto alla realtà che circonda. Le insegnanti della Scuola Primaria hanno quindi puntato proprio tutto su questo Progetto con proposte di testi adeguati all’età, incontri con i maggiori autori della Letteratura per l’Infanzia contemporanei, animazioni teatrali e, naturalmente, utilizzando anche tecniche alternative e innovative rispetto alla classica lezione frontale. Anche in questo caso, la scelta di base è stata la condivisione delle scelte didattiche e metodologiche tra i docenti e il coinvolgimento di tutti i ragazzi e di tutte le ragazze di tutti i plessi, nessuno escluso.
– il “Progetto Teatro” per la Scuola Secondaria di 1° Grado, una delle esperienze più entusiasmanti e gratificanti della mia carriera scolastica. Non solo per il linguaggio che è stato utilizzato, ma per il fatto che sul palco sono saliti centinaia di ragazzi e ragazze (più di cento per ogni annualità) che hanno “scoperto” attitudini che spesso non conoscevano, talenti “invisibili” che venivano alla luce nelle lunghe e faticose serate passate a scuola. E così si scopriva che il ragazzo più timido, quello su cui non avresti scommesso un centesimo, sapeva cantare in modo incantevole, che la ragazza più introversa sul palco si trasformava in una potente energia comunicativa e creativa. E poi la musica, sempre presente e sempre dal vivo, grazie alla partecipazione dei ragazzi del Corso a indirizzo musicale. E infine i testi, alcuni “leggeri”, altri più “impegnati”, ma mai banali.
Tutto questo grazie a un team di docenti di alto livello che con grande passione hanno saputo guidare i ragazzi e le ragazze su sentieri inesplorati come la danza, la recitazione, l’allestimento scenico, il canto corale, la musica orchestrale.
Infine, vorrei ricordare il Progetto “Dal Banco alla Strada”, nato da un’idea e da una proposta del Commissario di Polizia Francesco Saracino, che ci ha permesso di mettere insieme, per molti anni, interventi di altissimo profilo con la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri, la Forestale, i Vigili del Fuoco, la Guardia di Finanza, la Protezione Civile, la Guardia Costiera, la ASL BR/1, le Associazioni di volontariato. L’idea di fondo e l’obiettivo da perseguire è stato quello di promuovere tutte le forme possibili di prevenzione attraverso l’informazione, il contatto diretto con chi opera nei diversi ambiti, la conoscenza basilare di regole di comportamento che spesso salvano la vita.
Può condividere alcune sfide principali che ha affrontato nel suo ruolo di dirigente scolastico?
La sfida più difficile è stata quella di mettere in sicurezza gli edifici scolastici che, per la Scuola di base, dipendono dall’Ente locale. È stato un percorso molto articolato che negli ultimi anni ha prodotto una svolta positiva con l’apertura di molteplici cantieri di completamento di vecchie strutture, come la palestra della Scuola Secondaria di 1° Grado “G. Fortunato” di Montalbano, o i lavori di efficientamento energetico della sede “G. Galilei”, tutt’ora in corso, che miglioreranno in misura veramente importante le condizioni di vivibilità degli studenti e di tutto il personale scolastico.
Ma potrei citare tantissimi altri interventi richiesti e realizzati che hanno permesso di aumentare le condizioni di sicurezza generali delle dieci sedi scolastiche di mia competenza.
Poi posso indicare quella che definirei la sfida più importante e stimolante per un Dirigente scolastico: promuovere la partecipazione di tutte le componenti alla vita della Scuola attraverso gli Organi Collegiali. Ritengo di essermi speso molto per il raggiungimento di questo obiettivo. Non è un caso se le percentuali di partecipazione dei Genitori della scuola che ho diretto, nei vari organismi collegiali, è stata tra le più alte sia a livello regionale che nazionale. È vero, i miei Consigli di Istituto o i Collegi dei docenti duravano parecchio (anche se negli ultimi anni sono migliorato!) ma li ho sempre gestiti con l’intento di rendere trasparente e condivisa qualsiasi scelta educativa e/o gestionale. Del resto un Collegio dei docenti (che è un organo tecnico) ha bisogno di tempi “distesi”, non può durare poco. il Preside non impartisce ordini, ma promuove confronti tra i docenti dei vari ordini di scuola, stimola la produzione di idee, garantisce l’accesso al dialogo educativo a tutti. In questo modo possono nascere i Progetti e la loro realizzazione.
Gli Organi Collegiali (Consiglio d’Istituto, Collegio dei docenti, Consigli di classe, interclasse e intersezione), se ben gestiti, sono luoghi di “produzione” della cultura democratica di un Paese. A questi aggiungerei i colloqui con i Genitori, che devono essere, come lo sono stati sotto la mia gestione (anche durante la pandemia), sempre molto partecipati. Quando si parla, come in questi drammatici giorni, di emergenza educativa a volte si ignorano gli strumenti già esistenti, quali sono appunto i colloqui. Attraverso il confronto e il dialogo de visu (secondo la locuzione latina) tra Genitori e Docenti si possono cogliere criticità, malesseri, difficoltà delle ragazze e dei ragazzi che portano alla ricerca di soluzioni nell’ambito delle ordinarie attività scolastiche.
Per concludere, i registri elettronici sono strumenti utilissimi di condivisione di informazioni di qualsiasi tipo, ma se vogliamo fare un passo in avanti nella cura dei ragazzi e delle ragazze, dei bambini e delle bambine, bisogna recuperare la relazione diretta, la comunicazione personale autentica tra tutti i soggetti coinvolti nel processo educativo.
Come ha visto evolversi il sistema educativo nel corso della sua carriera, e quali cambiamenti ritiene siano stati i più significativi?
Su questo tema si potrebbero scrivere diverse tesi di laurea. Il sistema scolastico, nel suo complesso, ha “subìto” notevolmente l’avvento delle nuove tecnologie informatiche che, se da un lato permettono un potenziamento incredibile della capacità di acquisire informazioni, dall’altro non sono garanzia certa che dette informazioni si trasformino in autentiche “conoscenze”. La ragione è piuttosto evidente: la velocità di produzione delle informazioni è tale che la capacità di elaborazione del pensiero è assolutamente insufficiente a dominarle, selezionarle e utilizzarle in modo consapevole. Di conseguenza, tanto meno il pensiero è strutturato (bambini, ragazzi, adolescenti) tanto più le conoscenze diventano frammentarie e confuse. Il sistema educativo, proprio perché tale, cioè “educativo”, ha il compito di formare il pensiero degli studenti. Promuovere la riflessione critica delle informazioni per trasformarle in conoscenze ben selezionate.
Se penso ai libri che usavo da bambino e da adolescente e alla funzione simbolica che assurgevano, quali contenitori di saperi quasi assoluti, mi vengono i brividi al solo pensiero che gli studenti accedono a Internet considerando questo universo simbolico una realtà assoluta e indiscutibile.
La acriticità del pensiero infantile e adulto mi preoccupa molto perché può essere l’anticamera del totalitarismo dell’informazione, che rappresenta proprio il contrario dell’educazione, la quale, per sua natura, tende a liberare risorse intellettive e a promuovere scelte di vita consapevoli e responsabili.
Ha avuto esperienze sia come docente che come dirigente. Quali sono le differenze chiave in questi due ruoli?
Io sono stato un docente “prestato” al ruolo di Dirigente scolastico e quindi ho interpretato quest’ultimo ruolo senza mai dimenticare il mio lavoro precedente. È una personale interpretazione questa, non certo la regola, però ti consente di non “sprofondare” completamente nelle sabbie mobili della burocrazia e di considerare l’organizzazione scolastica in funzione della crescita culturale dei giovani e del territorio in cui vivono. Perché il vero rischio che si corre è proprio quello di perdere il contatto con gli studenti, che non può accadere quando si insegna (in teoria!). Questo stile di interpretazione del ruolo lo devo a due colleghi dai quali ho appreso tanto: il Direttore didattico Renato Muzzupappa (mente riflessiva, dotata di profonde conoscenze didattiche, metodologiche e formative) e il Preside Giuseppe Arnese (persona sensibile e vicina a tutti gli alunni che, oserei dire, conosceva uno per uno). La Scuola, però, rispondeva a un’altra organizzazione con 500 o al massimo 700 alunni, cioè un contesto in cui era possibile una presenza personale e costante in tutte le fasi della vita scolastica.
Cosa l’ha spinto a intraprendere una carriera nell’istruzione dopo la sua esperienza come dipendente delle ferrovie dello Stato?
Il mio “sogno” di adolescente. Ho frequentato l’Istituto Magistrale “P. Siciliani” di Lecce e ho incrociato nella mia esperienza scolastica dei docenti veramente sui generis. Il mio amato docente di Storia, Filosofia e Pedagogia Prof. Achille Scrimieri è stato sicuramente determinante. Era affascinante. Impostava qualsiasi lezione partendo da un nucleo centrale del pensiero filosofico o pedagogico di un autore e ci faceva spaziare creando infiniti collegamenti con altri ambiti della conoscenza, dalla Musica alla Medicina, dall’Economia alla Fisica. Non usava mai il registro e non valutava mai i suoi studenti pubblicamente, evitando così confronti, invidie, supposizioni malevole. Ma quando venivano pubblicati i “quadri” delle valutazioni, che allora erano trimestrali, ciascuno di noi si ritrovava perfettamente in quel voto. Una lezione straordinaria di vita: studia non per il voto, in funzione della performance, ma per te stesso, per ampliare i tuoi orizzonti cognitivi, per sapere chi sei e cosa vuoi fare della tua vita.
Il mio lavoro nelle Ferrovie dello Stato, invece, è stato una scuola di vita concreta. Ho viaggiato tantissimo e ho potuto apprezzare la bellezza del nostro Paese in lungo e in largo. Del resto io provengo da una famiglia di ferrovieri e i treni sono stati il “sottofondo musicale” della mia infanzia. Nelle ferrovie ho approfondito il valore della sicurezza sul posto di lavoro. L’importanza del rispetto delle procedure. Non è stato solo un lavoro ma una opportunità di apprendimento.
Può condividere alcune delle sue passioni nell’insegnamento di italiano, storia, geografia ed educazione civica?
Sono tante e non saprei davvero cosa scegliere. Ma se dovessi indicare un aspetto caratterizzante del mio lavoro, direi che qualsiasi tema affrontassi, o qualsiasi autore presentassi, lo introducevo sempre all’interno della cornice storica in cui agiva e pensava. La società, il costume, l’economia, le condizioni igieniche, i progressi scientifici del tempo dovevano sempre essere conosciuti e approfonditi. Solo per fare un nome, come si fa a presentare Luigi Pirandello al di fuori della cornice culturale della Psicanalisi? Come puoi capire Cesare Pavese se non hai una vaga idea delle Langhe piemontesi? E mi fermo qui.
Come ha applicato la sua laurea in Pedagogia e la specializzazione in “Metodi e tecniche di ricerca dei processi formativi” nel suo lavoro come dirigente scolastico?
La laurea, qualsiasi laurea, ti fornisce degli strumenti di interpretazione del tuo lavoro, ma poi è “sul campo” e attraverso lo sforzo quotidiano che metti a frutto i tuoi studi. Quindi, come è facile intuire, la laurea o le specializzazioni sono solo l’inizio, poi bisogna studiare sempre e con costanza perché i ragazzi cambiano, si modificano i contesti di vita, cambiamo noi. Per questo, ogni giorno, ho sempre dedicato almeno due ore allo studio, al di là del normale tempo di preparazione delle lezioni o di correzione di eventuali compiti assegnati.
Il Sapere non è qualcosa di acquisito una volta per sempre. Sarebbe un’idiozia. La conoscenza è in continuo divenire e la mente deve essere sempre pronta a cogliere i cambiamenti in atto. Poi sono curioso per natura, quindi ho letto e leggo di tutto, dalla Letteratura all’Economia. Adoro la Musica, soprattutto i cantautori. Ma non sono un nostalgico e se mi proponi un brano di Ultimo lo ascolterei volentieri insieme a una canzone di Renato Zero.
Quali consigli darebbe ai futuri dirigenti scolastici in base alla sua esperienza?
Nessun consiglio. Ognuno segua il proprio stile e la propria etica professionale. L’unica cosa che sommessamente mi sento di dire è questa: non dimenticate mai che la Scuola senza i ragazzi e le ragazze non esiste. Qualsiasi scelta parta sempre dai bisogni di crescita degli studenti nelle condizioni sociali attuali. Si parta sempre dai meno fortunati perché gli altri camminano sulle proprie gambe. Ma da adulti si incontreranno e gli uni non potranno mai fare a meno degli altri.
Può condividere qualche aneddoto o ricordo speciale dalla sua carriera che le sia particolarmente caro?
Ce ne sono tanti. Ma uno lo posso condividere. C’era un alunno molto intelligente, Gianluca M., che mi faceva disperare. Era iperattivo e sempre molto distratto, ma rapidissimo nell’apprendimento. Solo che a un certo punto della Scuola Elementare (ora Primaria) abbandonò gli studi e, in seguito, non acquisì il diploma della Scuola Media. Un giorno, casualmente, lo incontrai per strada e gli strappai una promessa. Poiché era follemente innamorato della mia borsa in pelle gli dissi: “Quando ti presenterai a casa mia con il diploma questa borsa sarà tua”, l’ho conservata in un armadio e sono ancora in attesa…
Ora che è in pensione, quali sono i suoi piani futuri e cosa intende fare nel tempo libero?
Non pianifico più nulla. Da quando ho perso i miei cari genitori il tempo è diventato una variabile indipendente. Va come deve andare. Però mi sono solo liberato da un assillo: il suono della sveglia che mi ha accompagnato per più di 50 anni, se consideriamo anche il tempo in cui sono stato studente.