
Un abbraccio a Giorgio, uno dei tanti commercianti che hanno deciso di restare
EDITORIALE – A volte ci vuole coraggio, anche per arrendersi. Non è sempre una mancanza di volontà, anzi spesso è semplicemente l’opposto: prudenza, intelligenza, capacità di comprendere quando è meglio andare piuttosto che restare. In alcune circostanze, invero, il coraggio per porre fine a qualcosa è più grande di quello che serve per saper andare avanti. Per saper andare oltre.
Io, come molti miei coetanei, avevo 15 o 16 anni quando ho cominciato a frequentare il centro storico della mia città. Non che prima non lo facessi, sia chiaro: ma nel tempo prima di quel momento, diciamo poco meno di quindici anni fa, passeggiare nella piazza dei Portici delle Teresiane non era la stessa cosa. Dava un senso, diciamocelo, quasi di desolazione. Tutta quella bellezza e pochi occhi ad ammirarla: un bel po’ di inciviltà (che, ahimè, ancora resiste) a dissuaderci dal pensare che il centro storico potesse essere la nostra casa, il nostro rifugio. Almeno per quelli come me, quelli che amavano Fasano ancor prima di nascere. Quelli che, anche se avessero avuto la possibilità di decidere, avrebbero scelto sempre di nascere qui: “hic aut nullibi”.
Quella della nostra città è però anche una storia di rinascita. Ci sono cose, situazioni, eventi, accadimenti più o meno drammatici, che ti fanno pensare a due sole strade: andare o restare. Nient’altro. Ed è lì che hai bisogno di quel coraggio, finanche quello per arrendersi.
Negli anni, quei Portici, sono diventati sempre più la nostra casa. Quei locali, quelle luci, la musica, il venerdì sera prima del weekend: un rifugio sicuro, una risposta alla nostra richiesta di non dover sempre dire che l’erba dei vicini (comuni) è sempre più verde e bella della nostra. Questa storia, quella che vi ho appena sintetizzato in queste venti righe, è stata scritta anche dal pub Ciporti. Non ripercorreremo le vicende che hanno portato ad oggi, alla sua momentanea sospensione: non daremo spazio al brutto e alla cattiveria. Non lo faremo.
Quella che vi racconto, oggi, è una storia simile a quando riavvolgi il nastro di un film che vuoi ancora rivedere. Dieci, cento, mille volte ancora. Ci vuole caparbietà, intraprendenza, anche una nuova veste se necessario. Quella da sera, quella di quando ci si fa belli per uscire a distrarsi, a rilassarsi dopo una intera giornata di lavoro. Quella che abbiamo sempre indossato anche al Ciporti e che, ve lo dico in anteprima, continueremo ad indossare. E lo faremo presto.
Qualche giorno fa ho ricevuto una chiamata, mentre ero in ufficio. Una telefonata che è più o meno andata così.
Ciao Marco, hai un minuto per me?
Anche due, Giorgio. Raccontami tutto.
Riapro il Ciporti. Che fai, vieni a vederlo prima dell’apertura?
Sei serio? Aspetta un attimo Giò, faccio una cosa e arrivo…
Che fai?
Vado, avviso la città che i commercianti di Fasano non si arrendono alla paura, e vengo a vedere il nuovo Ciporti.
Ciporti riapre, riapre il 29 novembre. È quel film che ci è piaciuto e che continuerà a piacerci ancora, perché lo rivedremo altre dieci, cento, mille volte, perché Giorgio – come tanti altri una ricchezza per la nostra città – quel coraggio di arrendersi, non lo ha avuto. E noi, qualcosa, gliela dobbiamo pure. Fosse anche, semplicemente, la gratitudine.
A lui e a quelli come lui dobbiamo dirgli che esiste una Fasano migliore: la nostra. Il nostro Ciporti.